La monetazione di Giovanni Re di Boemia in Italia: una serie di rare monete nelle zecche di Parma, Cremona e Lucca

La monetazione di Giovanni Re di Boemia in Italia: una serie di rare monete nelle zecche di Parma, Cremona e Lucca

di Federico De Gennaro
INTRODUZIONE

Giovanni di Lussemburgo Re di Boemia, più semplicemente noto come Giovanni di Boemia (o il Cieco, a causa di problemi di vista), è un personaggio di secondo piano nel panorama geo-politico italiano del XIV secolo. La sua presenza sul suolo italico si è protratta per breve tempo concludendosi senza risultati di rilievo. Nonostante ciò, la sua figura ha esercitato un’influenza particolare sul complesso amalgama di comuni guelfi e ghibellini che si agitavano nel centro-nord Italia. Se a livello storico gli sono generalmente dedicate meno pagine rispetto ai suoi più illustri predecessori, in ambito numismatico ben poco si dice delle sue monete. A onta di pochi anni di “illegittimo” potere sul regno italiano, Giovanni ha infatti lasciato dietro le sue spalle delle interessanti quanto rare emissioni in tre zecche distinte: Parma, Cremona e Lucca.

Il presente lavoro, senza alcuna pretesa di affrontare in modo onnicomprensivo un capitolo di storia tanto vasto e complesso, ha intenzione di focalizzarsi su alcuni aspetti meno noti e discussi della monetazione del Re boemo in Italia. Un tentativo per portare a una più ampia conoscenza la figura di questo Re e “avventuriero” le cui monete costituiscono oggi una tra le chimere più ambite dai collezionisti.

INQUADRAMENTO STORICO-POLITICO

Giovanni di Boemia nacque il 12 agosto 1296 a Parigi dal matrimonio tra l’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico VII e Margherita di Brabante. All’età di 14 anni sposò Elisabetta di Boemia, fu nominato Conte di Lussemburgo nel 1309 e fu incoronato e insignito del titolo di Re l’anno successivo quando mosse con un esercito verso Praga. Tre anni dopo, alla morte del padre Enrico, tentò invano di avvicinarsi alla corona imperiale, dovette tuttavia desistere per lasciare spazio a Ludovico il Bavaro del casato dei Wittelsbach. Rimasto vedovo nel 1330 e fallita la spedizione a Roma di Ludovico dell’anno precedente, Giovanni intraprese un viaggio in autonomia in Italia. Nonostante non ne avesse alcuna legittimazione (Giovanni era infatti solo Re di Boemia), scese dunque nella nostra penisola facendo le veci del vero (e unico) imperatore Ludovico IV il Bavaro. La sua comparsa in Italia generò una vera e propria reazione a catena tra i comuni del centro-nord. Nell’arco di nemmeno un anno, Giovanni si trovò signore di Brescia, Bergamo, Cremona, Mantova, Como, Pavia, Novara, Vercelli, Parma, Reggio, Modena e Lucca su espressa richiesta dei comuni stessi. Tale scelta fu il risultato di più fattori, in primis la loro delusione per l’effimero tentativo di Ludovico il Bavaro di continuare il progetto del predecessore Enrico VII, in secondo luogo la speranza dei comuni di poter ritrovare un imperatore che regnasse senza governare e che fosse al contempo un’alternativa ai poteri regionali (in primis Visconti e Scaligeri). Il successo iniziale della spedizione del Re boemo fu possibile grazie a questa spontanea disposizione dei comuni italiani. Tuttavia Giovanni non partì per l’Italia con chiari disegni d’azione e dopo aver stipulato accordi con l’imperatore, si ritrovò infatti in balia di eventi che sfuggirono al suo diretto controllo. Non deve sorprendere se iniziarono presto i conflitti di interesse tra l’imperatore e il Re boemo. Ludovico IV fece leva sull’illegittimità delle acquisizioni italiane del Re Giovanni per costringerlo a lasciare in sospeso i propri progetti italiani e fare ritorno in Germania, dove scese a compromessi per giustificare la propria presenza in Italia.

La posizione di Giovanni iniziò presto ad urtare gli interessi dei principali signori italiani, a partire dal caso di Lucca. La scelta di sottomettere questa città causò infatti l’opposizione di Firenze. Ad essa si sommarono presto tutte le altre forze italiane avverse all’autorità del sovrano straniero, ghibellini e guelfi indistintamente. Il timore per le acquisizioni ottenute dal Re portò alla formazione della lega di Castelbaldo (8 agosto 1331), esplicitamente anti-regale. Ad essa aderirono prima Gonzaga, Scaligeri ed Estensi, poi Visconti e comuni di Firenze, Como e Novara. Se gli iniziali inaspettati risultati arrivarono in sequenza, con altrettanta velocità il Re boemo, una volta tornato in Italia dalla Germania, vide sgretolarsi tra le sue mani il fragile potere che si era creato attorno alla sua figura. La sconfitta della battaglia di Palazzolo ne sancì il fallimento militare. Tre mesi dopo Giovanni partì definitivamente per far ritorno in Germania. Alle sue spalle lasciò dei vicari imperiali che presto entrarono in conflitto con i signori italiani. Fu così spianata la strada al ritorno delle signorie e alla formazione dei primi stati regionali. Il progetto politico imperiale in Italia, del quale Enrico VII fu uno strenuo sostenitore, fu così del tutto fallito. Per tale ragione, le tracce della presenza boema in Italia scomparvero presto.

Quel che fu di Giovanni una volta rientrato dall’Italia nulla ha a che fare con le successive presenze imperiali nella nostra penisola. Non godette mai di particolari apprezzamenti nemmeno in patria a causa del suo scarso interesse per la politica e gli affari locali. Il Re Giovanni potrebbe essere considerato a tutti gli effetti un “cavaliere errante”, in continuo movimento tra i suoi possedimenti senza occuparsi in modo costante degli interessi patri. Si ammalò presto perdendo la vista, motivo per cui è anche noto col soprannome di Giovanni il Cieco. Nonostante ciò prese ugualmente parte alla battaglia di Crécy del 1346, celebre per la sconfitta inflitta ai francesi appoggiati dal Re stesso da parte degli inglesi di Edoardo III. Qui trovò la morte in un estremo gesto di virtù mentre si scagliava contro il nemico a spada sguainata. Perì così da vero eroe e resterà indelebile per molti secoli il ricordo del suo estremo gesto. Non si diventava cavalieri per vincere le battaglie, bensì per combatterle.

PARMA

Ad inizio febbraio 1331 il Re Giovanni uscì dall’occupata Brescia per dirigersi nei comuni di cui aveva formalmente ricevuto il potere. Entrò presto a Parma, città che in breve divenne la roccaforte dove la sua corte si stabilì. Senza soffermarci sui provvedimenti politici e sociali attuati dal Re boemo per pacificare le discordie interne, conviene rivolgersi alle riforme fiscali e monetali introdotte in quegli anni.

Durante la presenza boema in Italia fu coniata moneta in tre diverse zecche. Tra di esse Parma è senza dubbio quella più importante, non solo per numero e qualità dei nominali emessi, anche perché è possibile ricostruire minuziosamente gli avvenimenti storici di quegli anni grazie al Chronicon parmense, un’importantissima cronaca storica e politica della città. Grazie ad essa sappiamo che dal 1331 si coniarono due distinte monete a Parma su ordine del re: un denaro dal valore di 1 imperiale e un grosso da 12 imperiali. È questo il primo riferimento certo a delle monete boeme coniate in Italia. Fino alla seconda metà del XIX, tuttavia, non si conoscevano con certezza queste monete citate dalle fonti. Non furono subito individuate e attribuite alla zecca parmense, sia perchè le cronache non ne avevano riportata una descrizione precisa, sia a causa dell’esiguo numero dei pezzi conosciuti. Inoltre, a complicarne l’individuazione, le legende delle monete boeme che si ipotizzava fossero attribuibili a Parma non riportavano alcun riferimento alla città, ma solamente il nome e il titolo del Re di Boemia.

Nel 1869 Michele Lopez, direttore del Museo d’Antichità di Parma, scrisse un’aggiunta a una precedente pubblicazione sulla zecca e sulle monete parmensi di un certo Ireneo Affò. In queste Aggiunte il Lopez affrontò l’individuazione delle monete parmensi coniate dal Re Giovanni. Partendo dagli esemplari boemi attribuiti alla zecca di Parma, Lopez escluse innanzitutto che tali monete fossero state coniate in Boemia o in altre zecche estere. Non risultavano infatti ritrovamenti fuori dal confine italiano e nemmeno erano citate nella bibliografia numismatica estera. Tali monete presentavano lampanti analogie stilistiche e ponderali con altre monete di conio indubbiamente italiano, mentre si discostavano dallo stile delle monete coniate in Boemia da Giovanni. Lo studioso escluse inoltre che fossero state coniate in altre zecche italiane, questo perchè gli esemplari noti erano concentrati pressoché tutti in area parmense. Per escluderne l’attribuzione cremonese, il Lopez fece notare come il denaro battuto in quegli anni a Cremona dal Re Giovanni riportasse il nome della città e fosse più pesante rispetto a quello parmense. Si trattava di variabilità difficili da accettare a livello locale e che avrebbero comportato un elevato numero di emissioni, cosa ragionevolmente da escludere se si considerava il ristretto arco temporale della presenza boema in Italia. Inoltre non c’era traccia di grossi battuti a Cremona. Sommando tutti questi elementi, si può dunque accettare che i nominali del Re boemo di cui parlano le cronache siano da individuare nelle monete qui descritte e raffigurate.

GROSSO DA 12 IMPERIALI

Diritto: ✠ IOHAииES ★; al centro busto barbato del Re di 3/4 verso sinistra, sul capo corona boema, mantello chiuso sul petto da fibula a croce, attorno legenda, perlinatura esterna

Rovescio: ✠ ★ BOHEMIE ★ REX ★; al centro leone coronato di Boemia verso sinistra, coda biforcuta intrecciata, attorno legenda, perlinatura esterna

Variabilità ponderale: 1,45/1,66 g. (peso medio su 6 esemplari 1,56 g.)

Diametro: 19/20 mm.

Varanti: il CNI cita una variante di legenda del R/ in cui manca ✠ ★

Provenienza: riproduzione con autorizzazione del Complesso Monumentale della Pilotta (Parma)

DENARO DA 1 IMPERIALE

Diritto: ✠ IOHAииES ★; al centro busto barbato del Re di 3/4 verso sinistra, sul capo corona boema, mantello chiuso sul petto da fibula a croce, attorno legenda, perlinatura esterna

Rovescio: ✠ BOHEMIE ★ REX ★; al centro leone coronato di Boemia verso sinistra, coda biforcuta intrecciata, attorno legenda, perlinatura esterna

Variabilità ponderale: 0,42/0,69 g. (peso medio su 6 esemplari 0,57 g.)

Diametro: 16/17 mm.

Varianti: non si conoscono varianti (il CNI ne riporta una erroneamente in quanto riferita all’errato disegno del Lopez)

Provenienza: riproduzione con autorizzazione del Complesso Monumentale della Pilotta (Parma)

Grosso e denaro si differenziano quindi di circa 1 g, hanno diritti e rovesci identici (fuorché nella legenda, avendo il denaro una stella in meno al rovescio) e sono entrambi di grandissima rarità (classificati come R4 dal MIR). Il grosso è di ottimo argento, il denaro in buona mistura. Come ipotizzato da Bazzini, data l’alta percentuale di fino, è molto probabile che in special modo i grossi siano stati fusi una volta usciti dalla circolazione o durante l’imminente periodo di crisi economica in cui Parma coniò mezzani molto svalutati. Tale dato, sommato al brevissimo periodo di coniazione, ne spiegherebbe la grande rarità.

Non furono grossi e denari le uniche monete coniate a Parma durante la presenza del Re boemo. Come per i due precedenti nominali, nuovamente è il Chronicon parmense a fornirci ulteriori inestimabili informazioni. Il cronista del tempo, infatti, scrisse che a metà 1333, ovvero circa 4 mesi prima della partenza definitiva del Re Giovanni, nella zecca di Parma si iniziò a produrre un mezzano (equivalente a mezzo denaro imperiale) «per Comune Parmae», ovvero «per ordine del comune» e non del Re come accadde con i precedenti grosso e denaro.

Il mezzano era una moneta completamente differente rispetto ai primi due nominali battuti dal re. In primo luogo, l’emissione avvenne in condizioni storico-politiche totalmente cambiate, aspetto che si evince chiaramente dai nuovi elementi apportati alla moneta. Sparì il busto di Giovanni e ne rimase una corona al diritto «della stessa forma di quella che cinge la fronte del Re nel grosso e nel denaro » [Lopez 1869], un rimando sicuramente più modesto e schematico alla figura del regnante. Attorno alla corona ne restò il nome, ma il titolo regale venne abbreviato in una semplice R. Anche il riferimento alla Boemia fu sostituito dal nome della città di Parma e al centro, invece del leone, venne inserita una croce. È proprio il rovescio a mostrare chiaramente come il Re fosse ormai una lontana presenza che regnava senza governare e come il comune tendesse all’autonomia. Da un’attenta analisi, infatti, il rovescio risulta paragonabile a quello del denaro mezzano (o torellino) coniato nel 1318 durante il periodo di autonomia della città-repubblica.

Qui accanto un confronto fotografico tra i rovesci del mezzano di Giovanni (a sinistra) e del torellino del periodo autonomo (a destra, esemplare da collezione privata). Si potrebbe quasi ipotizzare un riutilizzo dei medesimi coni, se non fosse che l’estrema rarità dei pezzi e la pessima conservazione dei pochi esemplari noti non permettano una chiara leggibilità. Resta comunque evidente che sia la croce sia la legenda al rovescio rimasero inalterate.

MEZZANO DA 1/2 IMPERIALE

Diritto: ✠ IOhANES • R •; corona boema al centro circondata da perlinatura, attorno legenda, perlinatura esterna

Rovescio: ✠ •P•A•R•M•A•; croce al centro circondata da perlinatura, attorno legenda, perlinatura esterna

Variabilità ponderale: 0,27/0,53 g (peso medio su 7 esemplari 0,39 g)

Diametro: 14/15 mm

Varianti: si conoscono diverse combinazioni tra esemplari con una M al posto della N di IOhANES, con/senza piccolo cerchio ° sotto il braccio inferiore della croce al R/ e ulteriori varianti di legenda con bisanti mancanti/presenti (queste ultime potrebbero essere conseguenze della scarsa conservazione)

Provenienza: riproduzione con autorizzazione del Complesso Monumentale della Pilotta (Parma)

Stando alle cronache parmensi, nella zecca di Parma furono battuti dal 1333 anche denari “parvi” oltre ai citati mezzani. Ad oggi, tuttavia, non se ne conoscono esemplari, forse a causa delle piccole dimensioni e della scarsa mistura che li costituivano. Le monete che il CNI riporta come tali, grazie a recenti studi, sono risultate emissioni ungheresi del XII secolo, dunque non boeme né parmensi.

CREMONA

Affrontare la storia di Cremona e delle sue monete è sicuramente meno facile rispetto a Parma. L’assenza di cronache cittadine come il Chronicon e di organici studi numismatici ci costringono a procedere usando fonti recenti. Il primo a parlare delle monete cremonesi battute al nome di Giovanni fu il marchese Ala Ponzone, importante collezionista di Cremona vissuto a cavallo tra i secc. XVIII e XIX. Nel 1818 scrisse e pubblicò un libro in cui diceva di essere venuto in possesso di una moneta inedita di Cremona riportante il nome di Giovanni, sconosciuta agli studiosi precedenti e contemporanei e mancante nella sua collezione. L’autore ne diede una lunga descrizione in questa pubblicazione e ne aggiunse anche un piccolo disegno.

Benché effettivamente il Ponzone fosse stato il primo ad individuare e descrivere il denaro battuto a Cremona per Giovanni, individuò in quel Iohannes non il re boemo, bensì un famoso personaggio della storia cremonese, tale Giovanni Baldesio, meglio noto localmente come Zanen de la Bala. Leggenda vuole che questo Giovanni, un giovane gonfaloniere cremonese, avesse sfidato e vinto in battaglia il figlio del re Enrico IV liberando così la città dalla pesante imposta che annualmente doveva versare al re sotto forma di una grande palla d’oro. La memoria della leggenda è rimasta viva nei secoli, tanto che oggi il braccio che stringe la palla è presente nello stemma cittadino circondato dal motto fortitudo mea in brachio. Anche il Manini, memore di quel Giovanni tanto importante per la storia della sua città, pensò di attribuire la moneta a Giovanni Baldesio nelle sue Memorie storiche della Città di Cremona. Ipotizzò anche che fosse stata battuta nel 1168, ovvero ottantasei anni dopo il citato duello.

Il primo a mettere in discussione questa interpretazione fu nuovamente il Lopez di cui si è scritto nella sezione parmense. In Due lettere intorno alla zecca di Cremona, lo studioso fece notare come una siffatta moneta male si inserisse nel panorama numismatico del XII secolo, sia a livello stilistico in generale sia confrontandola con le altre monete battute a Cremona in quegli anni. Il Lopez fece poi notare come questo denaro fosse simile alle due monete battute a Parma dal re boemo, entrambe recanti il busto del sovrano di 3/4. Inoltre il capo del Giovanni raffigurato indossava una corona del tutto analoga a quella boema e non con un berretto, come riportava il disegno approssimativo del Ponzone. La rarità dei pezzi e la scarsa conservazione degli unici due in mano al Ponzone lo condussero a commettere questo errore iconografico. Sommando dunque tutti questi indizi, il Lopez per primo interpretò correttamente la moneta e il periodo di coniazione, escludendo ogni possibile riferimento a Giovanni Baldesio.

Si conoscono pochissimi esemplari del denaro di Cremona a nome di Giovanni. 2 esemplari sono conservati nelle collezioni del museo di Cremona e sono quelli di cui il Ponzone stesso scrisse nel suo libro. Il CNI ne riporta 1 esemplare con tanto di fotografia (tavola XV, figura 18) senza menzionare varianti. Un altro esemplare appartiene alla collezione del Fitzwilliam Museum di Cambridge di cui si riporta una fotografia nel MEC 12. È poi conosciuto 1 esemplare andato venduto nel 2014 in Austria dalla casa d’aste H.D. Rauch e che probabilmente corrisponde all’esemplare che il Fenti afferma essere in una collezione privata di Cremona. Infine è noto 1 esemplare nel medagliere del museo della Pilotta di Parma.

DENARO IMPERIALE

Diritto: ✠ IOHANNES; busto coronato e barbato del re leggermente rivolto a sinistra, paludamento chiuso da croce sul petto

Rovescio: ✠ CREMONA; croce al centro con stelle a cinque punte nei quadranti superiori

Variabilità ponderale: 0,40/0,71 g (peso medio su 6 esemplari 0,58 g)

Diametro: 14/16 mm

Varianti: non se ne conoscono

Provenienza: Museo Ala Ponzone (Cremona)

In tempi più recenti fu Fenti a riprendere la questione nel suo libro sulla zecca di Cremona. Questi ribadì le considerazioni fin qui espresse citando gli esemplari conosciuti senza tuttavia aggiungere novità concrete. Non solo ne riportò un disegno in cui il re indossava una corona diversa da quella di Boemia realmente raffigurata, non rispettò nemmeno lo stile delle legende, specie per la C di Cremona.

Restava dunque in sospeso se tale moneta, benché riportasse chiaramente il riferimento alla città di Cremona, fosse stata coniata in questa città o nella vicina zecca di Parma. La mancanza di cronache cittadine e fonti storiche esaurienti non ci permette di dare una risposta definitiva. Possiamo tuttavia fare dei confronti puramente stilistici con altre monete cremonesi. Occorrono prima alcune premesse storiche per meglio inquadrare gli avvenimenti che interessarono Cremona nel periodo della presenza boema.

Una volta partito dall’Italia, Giovanni lasciò una serie di vicari imperiali alle sue spalle. A Cremona rimase certo Ponzino Ponzoni a controllare la situazione politica ed economica cittadina. Le forze italiane, che nel mentre si erano coalizzate contro la presenza imperiale, raggiunsero anche Cremona e la posero sotto assedio. Nel 1334, non essendo giunti rinforzi esterni, la città fu consegnata alle truppe di Azzone Visconti che ne diventò signore attorno alla metà di luglio del medesimo anno.

Si conoscono quattro diverse monete di Azzone che riportano il nome della città di Cremona nelle legende. Di queste colpisce innanzitutto il denaro con il busto frontale di Azzone (esemplare conservato al Museo Ala Ponzone, Cremona). Si tratta della prima moneta in panorama italiano a riportare il ritratto di un signore, benché stilizzato. Un privilegio smisurato tenuto conto dello status di Azzone. La premessa a tale scelta è indubbiamente da ricercarsi nell’emissione appena precedente di Giovanni con busto del re boemo. Azzone sfruttò subito l’occasione per questa manifestazione eccessiva del proprio potere, tuttavia dovette desistere presto e nelle successive monete il busto sparì per lasciar spazio al suo nome accompagnato da titolo e biscia viscontea.

Benché non si conoscano fonti storiche per localizzare la coniazione dei denari di Azzone, questa moneta con busto frontale potrebbe servire per identificare in Cremona la zecca produttrice di entrambi i denari di Giovanni e Azzone. Oltre alla citata presenza del busto, risulta palese come i coni del rovescio di entrambe le monete siano pressoché i medesimi. A partire dalla conformazione particolare della C (elemento unico nella monetazione di Cremona), entrambe hanno croce patente, stelle a cinque punte nei quadranti superiori, stile delle legende e conformazione dei punzoni coincidenti. Considerando il breve lasso temporale intercorso tra la possibile emissione dei denari di Giovanni e l’arrivo di Azzone in città, verrebbe da ipotizzare che tali monete escano dalla medesima zecca. A rigor di logica, considerando che il denaro di Giovanni potrebbe essere battuto a Cremona o a Parma e quello di Azzone a Milano o a Cremona (sicuramente non a Parma perché in quel mentre era passata a Mastino della Scala e sarebbe rimasta in mano agli Scaligeri fino al 1341), si può ipotizzare con discreta certezza che entrambe siano state coniate a Cremona, benché ad oggi le fonti storiche a noi note tacciano in merito. Anche il Fenti, nella sua pubblicazione sulla zecca di Cremona, ribadisce come il denaro di Azzone abbia degli spiccati elementi “cremonesi”: il ritratto frontale di cui si conosce il precedente di Giovanni, la croce patente che già appare sulle prime emissioni piane di Cremona con bisanti e stelle e la loro pressoché identica conformazione, qui a cinque punte come sugli inforziati a legende gotiche. Una prova scientifica a supporto di questa tesi potrebbe arrivare da una analisi XRF. Non potendo conoscere e confrontare le percentuali di metalli contenuti dai due nominali, occorre soffermarsi sulle palesi somiglianze stilistiche.

LUCCA

La storia di Lucca è strettamente intrecciata con le sorti della rivale Firenze e si inserisce in un quadro politico diverso rispetto alle altre città.

Dal 2 settembre 1329 Lucca era in mano a Gherardo Spinola al quale era stata venduta dopo il ritiro di Ludovico il Bavaro dalla Toscana. Ben presto Firenze giunse a cingerla in assedio e i lucchesi, sulla falsariga di Brescia e altri comuni del nord Italia, chiesero aiuto al re boemo per evitare la resa. I fiorentini furono così messi in fuga all’arrivo delle truppe di Giovanni di Boemia il 25 febbraio 1331. A differenza di tutte le altre città in cui Giovanni ottenne la signoria senza farne richiesta, a Lucca la cessione del potere fu perpetua ed ereditaria e si delineò sin dall’inizio come condizione per l’intervento armato contro i fiorentini. La moneta lucchese attribuita al re Giovanni presenta notevoli differenze stilistiche rispetto a quelle parmensi e cremonesi analizzate fin qui. Storicamente parlando, per inquadrare la moneta battuta dal re Giovanni ci vengono in aiuto documenti storici dell’epoca. Un bando pubblicato il 21 settembre 1332 afferma che nel periodo della dominazione boema fu battuta una moneta equivalente a tre denari piccoli.

REALE DA 3 DENARI PICCOLI

Diritto: ✠ ★ REGALIS ★ MON ★; corona al centro

Rovescio: S • VULT’ D’LUCA •; il Volto del Santo al centro

Variabilità ponderale: 0,51 g (peso medio su 8 esemplari)

Diametro: 15 mm

Varianti: non se ne conoscono

Provenienza: ex Asta Varesi 70, lotto 367

Come si evince dalla descrizione, i riferimenti al re sono ridotti al minimo. Il volto raffigurato non è quello del re Giovanni ma quello del Santo, già presente su precedenti emissioni lucchesi. La scelta di riprendere lo stile di precedenti monete cittadine e di riportare solo il titolo del re (REGALIS MONeta) dimostra come la presenza boema non governasse effettivamente.

La presenza di Giovanni a Lucca terminò il 3 ottobre 1333 quando la consegnò ai Rossi di Parma, nominati vicari imperiali in cambio di 35.000 fiorini. Due anni più tardi Lucca seguì le stesse sorti di Parma e passò in mano ai Della Scala di Verona.

Si concluse così la presenza boema in Italia e presto le sue tracce furono cancellate del tutto dal sopravvento e l’affermazione delle Signorie italiane.

RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano i responsabili del Museo Ala Ponzone (Cremona) e del Complesso Monumentale della Pilotta (Parma) per la gentile concessione delle autorizzazioni per pubblicare le monete conservate presso le rispettive collezioni. Un ringraziamento particolare a Marco Bazzini per l’indispensabile supporto bibliografico fornito nell’approfondimento del periodo e delle monete affrontate nel presente articolo.

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